10 punti per l’informazione LGBTIQ
L’informazione sui temi LGBTIQ come valorizzazione delle differenze
L’informazione sui temi LGBTI come valorizzazione delle differenze
In che senso parliamo di informazione sui temi o sulle questioni LGBTIQ?
Non si tratta certamente di un insieme di notizie limitato ad alcuni fatti o persone. Né, tantomeno, le persone LGBTIQ rivendicano un’informazione speciale, con chissà quali particolarità.
L’informazione sui temi LGBTIQ riguarda tutte quelle situazioni in cui si affrontano gli argomenti che si riferiscono all’identità sessuale di ogni persona: sesso biologico, orientamento sessuale, identità di genere, espressione o ruolo di genere.
L’attuale senso comune è portato ancora a discriminare (in misura diversa nelle varie parti del mondo) le persone gay, lesbiche, bisessuali, transgender, intersessuali, queer. Per questo motivo, il tema viene spesso affrontato scegliendo l’acronimo LGBTIQ, che scegliamo di usare a seguito della pubblicazione della Strategia dell’Unione Europea 2020-2025. Si tratta di una discriminazione che proviene da una concezione distorta e limitante della sessualità in generale e dei rapporti tra i generi, incentrata sulla colpevolizzazione della corporeità e dell’atto sessuale. Un’idea che rifiuta qualunque forma di pluralismo delle identità.
Si tratta di una discriminazione che colpisce spesso anche la popolazione eterosessuale: spesso basta vestire o comportarsi in una maniera considerata non consona al proprio genere per essere considerate persone “diverse”.
Il nostro ruolo è quello di promuovere un’informazioni corretta, rispettosa, che osservi il cammino dei diritti umani e i progressi della scienza, mantenendo come unica stella polare il benessere e la realizzazione personale e sociale dell’individuo.
Un pò di storia
Il movimento omosessuale, condividendo battaglie importanti con il femminismo storico e con i movimenti culturali che hanno dato vita agli studi di genere, al netto della varie differenze teoriche, ha sottolineato come il superamento di questi ruoli di genere giovi all’intera società.
Una società che, nonostante i sensibili cambiamenti degli ultimi 50 anni (divorzio, aborto, accesso delle donne a tutte le professioni) continua ad alimentare un immaginario patriarcale e sessista. Uno degli effetti storici di questo limite è stato l’incapacità della società di difendersi dalle Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST).
Lo sa bene una collettività come quella omosessuale, che ha dovuto farsi carico, da sola, dei più duri anni della lotta all’AIDS in termini di informazione e prevenzione. Nonostante la stampa abbia presentato l’AIDS come “la peste dei gay” tutte le persone ne sono soggette, uomini e donne, etero e omosessuali che hanno scoperto sulla loro pelle che si trattava solamente di un pregiudizio infondato.
Tutte le persone che fanno sesso senza protezioni sono a rischio di contrarre l’HIV e le altre IST. Nel corso degli anni, è emersa con forza sempre maggiore la necessità di un’informazione inclusiva, priva di pregiudizi e ipocrisie, documentata e scientificamente corretta.
Contestualmente, si è iniziato a comprendere quanto fosse necessario affrontare da un punto di vista organico i temi della salute, della sessualità̀ e della parità̀ di genere. Proprio per questo nel 1998 è nata Gaynet (il cui nome completo è Italia Gay network), da un’idea di Franco Grillini, un’associazione di formazione e comunicazione sui temi LGBTIQ che opera in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti nell’ambito della formazione permanente.
Il termine “Gay”, è legato nel nostro nome proprio a questo significato storico e culturale.
Oltre il “politicamente corretto”.
Non si tratta di una mera questione di lessico, ma di una questione di sostanza. A fare la differenza non è solo la scelta di questa o quella parola, ma ancora di più il contesto e l’uso delle parole. Anche i termini apparentemente più innocui possono veicolare stereotipi e pregiudizi.
Ogni volta che diciamo, per esempio, di una donna che gioca a calcio che “è un maschiaccio”, di un ragazzo he fa danza che “sembra effeminato”, oltre ad usare argomentazioni prive di un qualunque fondamento (si tratta di stereotipi) contribuiamo a diffondere idee discriminatorie anche senza volerlo.
Queste linee guida si focalizzano sulla conoscenza degli argomenti, sull’attenzione ai contesti in cui i termini vengono utilizzati e sugli strumenti critici necessari per una riflessione costante sui pregiudizi e gli stereotipi presenti nella nostra lingua.
Bisogna sempre tenere presente che non abbiamo di fronte una semplice minoranza di persone, magari circoscritta da un’identità̀ storica, culturale, linguistica, religiosa o da una particolare condizione fisica. Parliamo di caratteri costitutivi dell’individuo e di diritti umani universali.
Per quanto le persone colpite da questo genere di discriminazione siano principalmente LGBTIQ, tutta la popolazione, anche quella eterosessuale, specie di giovane età, viene comunque colpita dal linguaggio e dagli insulti omo-transfobici, spesso usati come una clava per emarginare chi non si conforma ad un certo stereotipo maschilista di eterosessualità̀..
L’approccio di queste linee guida vuole essere dialogico e costruttivo. La conoscenza scientifica di queste tematiche è solo un elemento dei nostri corsi: sull’uso del linguaggio e sulla decostruzione degli stereotipi non esiste una sola verità, bensì un aggiornamento costante di strumenti critici da esercitare quotidianamente nell’attività giornalistica.
1) DIVERSITA’ E DIFFERENZE
Ancora oggi leggiamo termini che descrivono le realtà LGBTIQ attingendo alla sfera semantica della diversità, dell’inversione e della deviazione (dalla norma etero).
Questo atteggiamento va superato definitivamente. Il termine “diverso” va utilizzato in senso assoluto e non relativo, altrimenti si presuppone una “normalità” in qualche modo qualitativamente superiore. Quindi bene “Mario, storia di un Coming out” ma evitare “Mario, storia di un diverso”. Ricordiamo che questo sostantivo, nella nostra lingua ha comunque una denotazione negativa.
Se nel discorso si parla, come spesso accade, di persone LGBTIQ, è facile che il termine assuma un carattere relativo ed è preferibile utilizzare il sostantivo “differenza”. La “differenza”, infatti, è un concetto più neutro, che difficilmente rimanda a ipotetici paradigmi di normalità̀. Mentre andrebbe evitato anche il sostantivo “tolleranza”, perché́ si tollera qualcosa che si ritiene comunque sbagliata o nociva, qualcosa che si sopporta perché non si può fare altrimenti. Il termine può essere sostituito con “rispetto”, “inclusione”. Da evitare, per gli stessi motivi, anche il sostantivo “accettazione” e relativo verbo.
2) IL SESSISMO DELLA LINGUA
Coniugando il contrasto dell’omo-transfobia con le istanze della parità̀ di genere, seguendo le raccomandazioni di Cecilia Robustelli, e, prima di lei, di quelle di Alma Sabatini ed Edda Billi, è bene preferire l’uso del femminile per i nomi delle professioni e delle cariche pubbliche che riguardano donne: “Ministra”, “Sindaca”, “Architetta”, “Avvocata”. Ricordiamo che questi sostantivi non sono forzature della lingua ma regolari forme femminili di sostantivi usati sempre al maschile perché fino a pochi anni fa le donne non accedevano a queste cariche pubbliche.
Se questi termini ci sembrano strani è per una mancata abitudine all’ascolto non per una loro stranezza grammaticale.
E’ importante mantenere una coerenza grammaticale nell’accordo del genere di nomi, pronomi e verbi, per cui va evitato “il Sindaco è andata”.
Laddove la lingua prevede una regolare uscita al femminile sono da evitare le forme con il suffisso derivazionale in -essa ad esclusione di professoressa e dottoressa (per studentessa Sabatini suggerisce l’uso epiceno, gli e le studenti) che si sono ormai radicate nella lingua. Per tutti i nomi epiceni, cioè ambigenere come vigile, si distingue il sesso con gli arti-coli quindi scrivere la vigile, le vigili e non la vigilessa, le vigilesse come già facciamo con la parola giudice.
3) CRONACA
Nel riferirsi alle persone LGBTIQ è fondamentale evitare espressioni legate ai cosiddetti “ambienti gay”, ancora oggi presenti e non solo nelle testate locali.
Espressioni come “amicizie particolari”, “giri” “frequentazioni”, vanno decisamente archiviate. L’uso dell’aggettivo “gay” riferito a sostantivi come “omicidio gay”, è da evitare non solamente perché caratterizzano negativamente la totalità̀ delle persone LGBTIQ ma perché prive di fondamento logico. Ad “essere gay” sono casomai le persone e non l’omicidio che rimane un omicidio qualunque sia la persona uccisa .
Bisogna prestare attenzione anche all’uso delle virgolette. Spesso vengono utilizzate per screditare le persone LGBTIQ e minarne le credibilità. Ne sono esempio i casi “papà” o “mamme” gay (usati correntemente anche dall’Ansa in anni recenti). Bisogna evitare anche espressioni come “condizione omosessuale”, del tutto priva di senso e che richiama un significato clinico, considerando che non esiste una “condizione etero-sessuale” e che l’omosessualità è stata depennata dall’elenco delle malattie mentali già̀ dal 1973 . Un’altra espressione priva di significato è “lobby gay”. Il significato negativo che la parola ha in italiano suggerisce di abbandonare l’espressione per almeno due motivi:
- a) non si tratta di interessi di parte perorati da un “mondo” o da una “comunità̀” settarie e dai caratteri intrinsecamente negativi;
- b) non siamo di fronte ad attività̀ di “lobbismo” neanche in senso strettamente neutro, in quanto si tratta di rivendicazioni che fanno capo a diritti universali riconosciuti dalla legislazione europea ed internazionale, non di interessi specifici di una particolare categoria come nel caso della lobby degli avvocati, di quella degli industriali e così via.
Come riferirsi, dunque, alle persone omosessuali?
Dipende dalle situazioni. E’ possibile parlare di “comunità LGBTIQ” quando ci si riferisce all’insieme delle associazioni per i diritti civili, ai e alle militanti che ne fanno parte o alle persone che frequentano i luoghi di ritrovo. E’ benericordare, tuttavia, che queste persone non costituiscono la totalità delle persone LGBTIQ (ci sono molte persone LGBTIQ che non militano e non frequentano locali) e che, più in generale, tutte le persone possono essere vittima di discriminazioni in base alla propria identità sessuale. Quando ci si riferisce alla totalità delle persone omosessuali, bisessuali e trans è più corretto parlare di “persone LGBTIQ”, “realtà LGBTIQ” o “collettività LGBTIQ” Vanno evitate espressioni ambigue come “mondo gay” perché insinua che le persone omosessuali vivano tutte allo stesso modo il che non è vero.
4) NOMI E PERSONE
La parola “omosessuale” è corretta, ma è preferibile usarla più come come aggettivo che come sostantivo meglio “persona omosessuale” che “omosessuale” tout court in simme-tria con quanto facciamo quando indichiamo una persona etero: la chiamiamo persona, appunto, e non già semplicemente “etero”.
E’ meglio utilizzare sempre omosessuale e i sinonimi “gay”, “lesbica”, e, a seconda delle situazioni, “bisessuale”, “transessuale”, “transgender” e “intersessuale” come aggettivi . In un titolo non scrivere “ucciso omosessuale”, “ucciso trans”, ma “uomo gay”, o “persona trans”. Siamo consapevoli che l’esigenza di brevità è fondamentale per un titolo ma altrettanto fondamentali sono i diritti della persona. Di tutte le persone
Le persone “gay” e “lesbiche” sono entrambe omosessuali attenzione però a usare omosessuale come sinonimo di gay. “Omosessuale” infatti nella lingua italiana ha due significati, uno letterale, “dello stesso sesso”, e uno, per estensione, di “orientamento sessuale omosessuale”. Attenzione a non fare confusione tra i due significati. Una coppia di due persone dello stesso sesso è omosessuale in quanto dello stesso sesso le persone della coppia non sono necessariamente gay o lesbiche: una o entrambe possono essere bisessuali. In ogni caso quello che caratterizza la coppia è il fatto che si tratta di due persone dello stesso sesso non dello stesso orientamento sessuale.
Quando scriviamo “coppia omosessuale” stiamo dicendo che si tratta di una coppia di persone dello stesso sesso, due uomini o due donne, quando scriviamo “coppia gay” stiamo dicendo che entrambi gli uomini nella coppia sono gay (in italiano le donne omosessuali sono lesbiche non gay). Torneremo sull’uso di gay come aggettivo al punto numero 8.
Le persone trans e non binarie
Quando ci si riferisce alle persone transgender il sostantivo va accordato con il genere di elezione e mai con quello di partenza, a prescindere o meno dalla riassegnazione chirurgica. Quando si usa trans come sostantivo, va tenuto presente che “una trans” è una persona che si identifica nel genere femminile, mentre “un trans” è una persona che si identifica nel genere maschile.
Chi scrive UN trans, al maschile, riferendosi a una donna trans, marca il sesso di nascita compiendo una grave discriminazione, perché identifica quella persona con il sesso di origine e ignora il percorso di transizione compiuto. Il termine “transgender” è preferito oggi a “transessuale”, che indica esclusivamente le persone che si sottopongono alla riassegnazione chirurgica del sesso.
Nell’ambito delle identità di genere si parla di persone cis-gender quando il genere di partenza coincide con quello d’elezione, mentre di persone trans-gender quando questi non coincidono. Il termine “trans” viene anche utilizzato come termine ombrello per indicare le persone “non binarie”, che si definiscono equidistanti da entrambi i generi o non si identificano con nessuno di essi.
Le persone intersessuali
Le persone intersessuali presentano alla nascita caratteri sessuali primari e secondari appartenenti sia all’insieme dei caratteri maschili che di quelli femminili. Per definirle è stato spesso utilizzato il termine “ermafrodita”, assolutamente da evitare. La principale rivendicazione delle persone intersessuali è quella di non subire interventi chirurgici alla nascita e poter decidere successivamente del proprio corpo e della propria identità.
5) IMMAGINI E SUONI
Non si comunica solo con le parole. Un’immagine o anche un suono può essere uno stimolo che rimane impresso molto più̀ facilmente nella mente.
Molto spesso capita di associare ad articoli che parlano di omosessualità̀, immagini completamente fuori luogo come foto di Drag Queen o di persone trans (semi)nude scattate durante i Pride. Mettere la foto di una Drag in un articolo deve si parla del matrimonio egualitario, ad esempio, è un po’ come parlare del matrimonio di una coppia eterosessuale (di sesso diverso) mettere delle foto di un addio al celibato. Spesso in televisione quando si parla delle persone LGBTIQ si abusa di musiche da discoteca e relative immagini, come se quei locali esaurissero la vita di queste persone. Anche qui bisogna fare molta attenzione.
6) IL PRIDE
Uno dei pregiudizi più̀ diffusi in merito alla lotta politica delle persone LGBTIQ riguarda il Pride, la manifestazione di rivendicazione dell’orgoglio omosessuale e trans diffusa in tutto il mondo. Storicamente noto come “Gay Pride”, da alcuni anni ha perso l’aggettivo “gay” proprio per sottolineare il suo carattere inclusivo di festa dell’orgoglio di tutte le identità̀.
Il Prde nasce come commemorazione dei moti di Stonewall, un locale di New York nel quale, la notte del 28 giugno 1969 un gruppo di persone si ribellò contro la polizia che esercitava in via intimidatoria, arresti, umiliazioni e rappresaglie. A reagire furono in primo luogo persona trans e travestite.
Il Pride nasce come rivendicazione identitaria in opposizione alla morale borghese dell’epoca, quindi con l’idea dello scandalo, con l’obiettivo di épater la bourgeoisie. Il Pride è una festa di libera orgogliosa espressione della sessualità̀ e dell’identità̀, contro un’idea di morale e di ordine pubblico che pretende di stabilire i canoni della corretta “vita sessuale”.
Se nel Pride c’è un elemento “carnevalesco”, questo elemento attinge al vero significato del carnevale, di sovversione delle leggi sociali, delle consuetudini e delle convenzioni. Il carnevale nace come festa popolare di tutti e tutte, proprio come il Pride.
Non ci può̀ essere uguaglianza concreta dei diritti sul piano sociale senza poter manifestare liberamente la propria identità sessuale senza che venga ostacolata da preconcetti, stereotipi e imposizioni sociali. Il fatto che, purtroppo, anche molte persone omosessuali considerino i Pride “una carnevalata superata”, indica quanto grave e diffusa sia l’omofobia interiorizzata.
7) COMING OUT O OUTING?
“Coming out” è la forma abbreviata dell’espressione statunitense Coming out of the closet “uscire dall’armadio (a muro)” per riferirsi al momento in cui una persona non eterosessuale dichiara il proprio orientamento sessuale in ambito familiare, delle amicizie e lavorativo (una persona può̀ aver fatto Coming out con gli amici e non in famiglia o viceversa).
Con il termine “outing”, invece, ci si riferisce a quando qualcuno o qualcuna rende pubblica l’omosessualità di un’altra persona che non ha ancora fatto Coming out. L’outing ha una forte valenza politica.
E’ usato infatti per mostrare l’ipocrisia di chi pubblicamente fa dichiarazioni contro l’omosessualità e nel privato ha un comportamento omosessuale. Nn sono dunque affatto sinonimi. Sono da evitare a tutti costi, perché offensive, riduttive e sminuenti, tutte le espressioni del tipo “gusti sessuali”, “stili di vita”, “scelte”.
L’orientamento sessuale non esprime un gusto ma l’affettività, la vita relazionale, l’affinità spirituale oltre a quella sessuale, che è qualcosa di ben più complesso e profondo. Non basta infatti andare a letto con qualcuno dello stesso sesso per essere omosessuale.
Non è il sesso che ci fa etero gay o lesbiche quanto, piuttosto, l’affetto, i sentimenti, la sfera relazionale. Anche per questo la psicologia e la sessuologia distinguono tra un comportamento sessuale (con chi facciamo sesso) e un orientamento sessuale (di chi ci innamoriamo, con chi, oltre al sesso, costruiamo relazioni affettive, oltre a farci, eventualmente, sesso).
Non si tratta di uno stile di vita perché si ama in tanti modi diversi, e non è mai una scelta perché nessuno e nessuna può scegliere il proprio orientamento sessuale. Si può solo scegliere se accettarlo o nasconderlo (magari indotti e indotte dalla pressione sociale) L’unica espressione corretta è dunque “orientamento sessuale”.
8) L’AGGETTIVO “GAY” E “OMOSESSUALE”
L’esigenza di brevità̀ e sintesi che si presenta nel formulare un titolo, non può̀ giustificare l’utilizzo di espressioni quali “matrimonio gay”, “nozze gay” “bacio gay” o “matrimonio tra gay” all’interno del testo di un articolo. Nelle pubblicazioni online è sempre possibile usare le parole chiave come “gay” nel permalink.
Questi usi dell’aggettivo sono sconsigliati e rischiano di essere discriminatori. Spesso si legge “bacio gay”, come se fosse diverso da quello etero, oppure “bacio saffico” o “lesbo”, per indicare quello tra donne. E’ chiaro che se si parla due donne o due uomini non c’è alcun bisogno di specificare il tipo di bacio. Oppure si parla di sesso gay riferito a due uomini (come se due uomini potessero fare del sesso etero…)
Non sempre l’uso dell’aggettivo “gay” ha senso da un punto di vista semantico e anche in questo caso vale la regola del contesto. Nel caso del matrimonio, è preferibile definirlo “egualitario” poiché parlare di “matrimonio gay” lascia spazio a chi pensa che le persone LGBTIQ vogliano un istituto tutto per loro o, peggio, siano pronte ad invadere le chiese. Si tratta invece, come è noto, dell’estensione delle norme relative al matrimonio civile alle coppie dello stesso sesso. Il matrimonio infatti non discrimina l’orientamento sessuale ma la composizione della coppia: solo coppie di sesso diverso si possono ancora oggi sposare in Italia, mentre per le coppie dello stesso sesso è previsto un istituto a parte, le unioni civili.
Sono altrettanto da evitare anche espressioni come “famiglia gay” e “adozioni gay”, in quanto è chiaro che non tutti i e tutte le componenti della famiglia sono necessariamente gay (i figli e le figlie ad esempio, ma anche i genitori e le genitrici che possono anche essere bisex) Diremo dunque “famiglie omo genitoriali”, oppure di “famiglie arcobaleno”, al plurale, per sottolineare le diverse compagini familiari. Lo stesso vale per “adozioni gay” al limite sono gay le persone che adottano (ma va ricordato che ci sono anche le persone bisessuali) non le adozioni che sono né etero né gay. Alcuni chiarimenti.
Per le coppie che ricorrono alla procreazione assistita tramite “gestazione per al-tri ” (GPA), va del tutto evitata l’espressione “utero in affitto”, perché́ non rispecchia la realtà̀ delle donne che la praticano per libera scelta e pone l’accento invece solo sulle forme di sfruttamento, un fenomeno da tenere completamente distinto. Va comunque ricordato che la GPA in Italia è attualmente illegale e che oltre il 90% della coppie che si reca all’estero per ricorrervi è eterosessuale (di sesso diverso). Su questi temi, l’associazione “Famiglie Arcobaleno” ha elaborato dei principi di base nella propria carta etica.
Dal punto di vista dell’informazione, è necessario evitare espressione come “bimbo con due madri” o “con due padri”, perché́ le figure biologiche, in questi casi, non vanno confuse con i genitori effettivi che scelgono di concepire la prole e successivamente la crescono. Ci saranno quindi bimbi e bimbe “con due mamme e due papà” .
9) I LOCALI GAY
Nel linguaggio usato all’interno della collettività̀ LGBTIQ sono molto diffuse le espressioni “locali gay” e “feste gay”. In questo come in molti altri casi, la parola “gay” assume il suo significato storico legato al movimento omosessuale, indicando tutto quello che riguarda la causa perorata dalle persone LGBTIQ e, soprattutto, la loro possibilità̀ di poter uscire allo scoperto, conoscersi ed esprimersi. Va rcordato che fino agli anni 90, in alcuni Paesi dell’Unione Europea come la Germania, l’Inghilterra e l’Austria, l’omosessualità era un reato punito con il carcere. Questo ha comportato storicamente l’estrema difficolta per le persone LGBTIQ nell’incontrarsi e nel socializzare. Non viviamo purtroppo ancora in una società dove un uomo che “ci provi“ con un altro uomo viene considerato “normale” come un uomo che ci prova con una donna…
Ciò̀ non significa, tuttavia, che si tratti di eventi in cui si richiede una sorta di “patente” per entrare, bensì̀ di luoghi in cui le persone LGBTIQ si sentono libere e sicure di esprimersi e di socializzare come purtroppo ancora oggi non si sentirebbero di fare in una festa qualsiasi. In un contesto giornalistico è preferibile parlare di spazi e ambienti “gay-friendly”, cioè̀ finalizzati all’accoglienza delle persone LGBTIQ. Un altro bel sinonimo sempre più̀ utilizzato è l’aggettivo arcobaleno: “movimento arcobaleno”, “associazioni arcobaleno”, “locali arcobaleno”.
Questa parola può assumere in breve il significato di “inclusivo e accogliente verso tutte le identità̀”. Un discorso simile vale per il “turismo gay”. Per lo stesso motivo che ha portato alla nasci-ta dei locali gay, il turismo gay si è sviluppato seguendo determinate logiche commerciali che, in alcuni casi, vanno incontro a determinati stereotipi e si appoggiano anche su elementi folkloristici.
Vanno sempre tenuti presenti alcuni elementi:
- l’immaginario definito “gay” dall’opinione pubblica non rappresenta quello della totalità̀ delle persone LGBTIQ
- non rappresenta nemmeno la vita quotidiana di quelle persone che si avvicinano allo stereotipo;
- I luoghi del turismo gay, così come tutto l’universo di intrattenimenti comunemente ritenuti “gay”, sono frequentati in larghissima parte anche da persone eterosessuali.
10) L’AMBIGUITA’ DEL TERMINE “MINORANZA”
Sulla scia del concetto psicologico di “minority stress”, è stato recepito anche nei Paesi anglofoni l’uso dell’espressione “sexual minorities”, minoranze sessuali.Va chiarito che l’uso del termine “minoranza”, relativamente alle persone LGBTIQ, è altamente fuorviante, poiché il senso comune identifica come minoranza un gruppo di persone circoscritto da elementi come un territorio, un etnia, una cultura, una nazionalità̀, l’appartenenza linguistica.
Nel caso delle persone LGBTIQ parliamo invece di persone di estrazione sociale, età̀, cultura o nazione diverse.
Secondo una percentuale basata solamente sulle persone che hanno fatto coming out le persone omosessuali costituiscono circa il 10% della popolazione. Tuttavia, anche in base al rapporto Kinsey e tenendo conto delle persone non dichiarate e delle tante persone bisessuali, la proporzione può variare sensibilmente. Lo stesso concetto di “minority stress”, non a caso, fa riferimento ad una condizione di minoranza percepita dall’individuo, non ad una calcolo statistco sulla effettiva percentuale di popolazione.
In ogni caso la questione numerica e la relativa idea di minoranza diventa irrilevante di fronte al fatto che queste persone non rivendicano diritti particolari ma esattamente gli stessi diritti delle persone eterosessuali.
Per questo motivo è da evitare anche l’espressione “diritti gay”. Non si tratta infatti di diritti particolari in quanto persone omosessuali ma degli stessi diritti di tutte le altre persone negati in quanto persone omosessuali. Frasi del tipo “i diritti delle minoranze sessuali”, che spesso si trovano in elenchi che includono le minoranze etniche, religiose, linguistiche ecc., vanno sostituite con “i diritti umani negati alle persone omosessuali”.
REGOLA AUREA
Infine una semplice regola aurea, che può sempre essere utile a risolvere molti dubbi: il giornalista o la giornalista che trattano un argomento LGBTIQ non devono fare altro che domandarsi come tratterebbero la stessa notizia se non stessero parlando di persone LGBTI.
Corollario alla regola aurea, che riguarda tutti i momenti in cui non si parla direttamente di tematiche LGBTIQ, tenere sempre conto che le persone LGBTIQ non vivono “su un altro pianeta” ma fanno senz’altro parte del pubblico di lettori e lettrici cui si rivolgono i loro articoli. Tenerlo presente può̀ evitare atteggiamenti anche involontariamente discriminatori (non “quelle persone là” ma, anche, voi che ci leggete).
Per approfondire consulta la nostra pagina materiali