10 punti per l’informazione sui temi LGBTIQ+

I 10 punti di Gaynet

sono uno strumento pratico per le redazioni e per chiunque voglia approfondire i temi e il linguaggio connessi alle persone LGBTIQ+ e all’ambito SOGIESC (Sexual Orientation, Gender Identity, Gender Expression, Sexual Characteristics).

L’utilizzo di una lingua corretta e rispettosa non è infatti una mera questione di registro lessicale.

A fare la differenza non è solamente la scelta delle parole (il cosiddetto “politicamente corretto”), ma il contesto, la connotazione, la scala di valori che ogni parola porta con sé e promuove.

Anche i termini apparentemente più innocui possono veicolare stereotipi e pregiudizi.

Per esempio, quando diciamo che una donna che gioca a calcio è un maschiaccio, o di un ragazzo che fa danza che è effeminato, basandoci su degli stereotipi privi di qualunque fondamento, contribuiamo, anche se non sempre ce ne rendiamo conto, a diffondere idee discriminatorie.

Queste linee guida si focalizzano sulla conoscenza degli argomenti, sull’attenzione a i contesti in cui certi termini vengono utilizzati e su alcuni strumenti critici necessari per poter scegliere parole e locuzioni con la giusta consapevolezza, grazie a una critica costante sui pregiudizi e sugli stereotipi presenti nella nostra lingua e nella sua cornice narrativa di riferimento.

I suggerimenti che troverete in queste pagine non hanno vocazione di esaustività, costituiscono un elenco discreto di esempi per affinare una sensibilità che ognuno e ognuna di voi può raggiungere in maniera autonoma, svincolandosi da ogni obbligo su come si debba parlare o scrivere, e concentrandosi piuttosto sui valori  e sui disvalori che certe parole, certe locuzioni e certe argomentazioni portano con sé, augurandoci che, una volta compreso il portato di certe parole ed espressioni, venga spontaneo evitarle.


Ricordatevi sempre che le persone LGBTIQ+ sono dappertutto, non solamente nei locali o nel mondo dello spettacolo o della moda.

È sempre bene tenerlo in mente per evitare di fare l’errore di rivolgervi al vostro pubblico con l’idea che le persone LGBTIQ+ siano altrove quando invece sono anche “lì”.

In redazione

Come riportare le dichiarazioni di esponenti della politica, rappresentanti delle istituzioni o della cultura, dello spettacolo, dello sport? Come scrivere in maniera rispettosa delle persone LGBTIQ+ nel rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile?

Di seguito qualche consiglio semplice ed efficace in linea con il Testo unico dei doveri del giornalista 

  • Riportare sempre tra virgolette i discorsi che incitano all’odio, facendo attenzione particolare ai titoli.

  • Fare presente, quando necessario, quali sono le corrette definizioni dei termini usati e sottolineare le dovute distinzioni quando si fa confusione tra diverse identità come, per esempio, tra orientamento sessuale e identità di genere.

  • Porre massima attenzione nella scelta delle immagini, evitando che rafforzino gli stereotipi presenti nei discorsi riportati nell’articolo.

  • Approntare un elenco di persone a livello nazionale e locale provenienti dall’attivismo o rappresentanti di associazioni e coordinamenti LGBTIQ+ da consultare per avere in tempi rapidi dichiarazioni che permettano una composizione bilanciata dell’articolo o del servizio.

       
       

1) Come riferirsi alle persone LGBTIQ+?

Alcuni suggerimenti

       
       

Ancora oggi alcuni mezzi di informazione descrivono le persone LGBTIQ+ attingendo alla sfera semantica della diversità, dell’inversione e della devianza dalla norma etero. 

È bene evitare questo schema narrativo. 

Il sostantivo diverso che, ricordiamo, nella nostra lingua ha una denotazione negativa, presuppone una normalità in qualche modo qualitativamente superiore che, in realtà, non esiste. Se si vuole usare questa parola è sempre bene assicurarsi di parlare di “diversità” in senso assoluto (cioè riferendosi alla diversità fra tutte le persone) e non relativo a un gruppo di persone al quale manca  a una presunta normalità che resta implicita. Questo è il senso del termine diversity nell’espressione inglese Diversity & Inclusion,

Al posto di diverso si può usare la parola differente.  La “differenza” è un concetto neutro, che difficilmente rimanda a graduatorie o a ipotetici paradigmi di normalità. La differenza è un bene prezioso da coltivare.

Da evitare la retorica della tolleranza, perché si “tollera” qualcosa che si ritiene comunque sbagliata o fuori norma, e che si sopporta perché non si può fare altrimenti.
Meglio usare inclusione o rispetto.

Da evitare, per gli stessi motivi, anche il sostantivo accettazione e il relativo verbo.

È sempre meglio utilizzare le parole omosessuale, (e i sinonimi  gay, lesbica), bisessualetransgender (da preferire a transessuale), intersex, non binarie e asessuali, come aggettivi e non come sostantivi.

È sempre meglio dire persona omosessuale che “omosessuale” tout-court, in simmetria con quanto facciamo quando indichiamo una persona etero: la chiamiamo persona, appunto, e non un etero.

Evitare di scrivere anche in un titolo ucciso omosessuale, ucciso trans. Meglio uomo gay, donna lesbica, o persona trans, uomo trans, donna trans.

Per approfondire – Il doppio significato della parola omosessuale

       

2) La parola Minoranza. Qualche considerazione

Alcuni suggerimenti

       
       

L’espressione diritti delle minoranze è concettualmente sbagliata perché lascia intendere che le minoranze hanno bisogno di diritti particolari, mentre si tratta di riconoscere loro gli stessi diritti di tutte le altre persone,negati loro in quanto minoranze.

Sulla scia del concetto psicologico di minority stress (stress da minoranza), è stato recepito anche nel linguaggio ufficiale dell’Unione Europea l’espressione sexual minorities, minoranze sessuali.

L’uso del termine “minoranza”, riferito alle persone LGBTIQ, è però altamente fuorviante per almeno tre motivi:

si riferisce a persone molto diverse tra loro,
si parla di numeri molto difficili da quantificare,
ci si riferisce a persone che rivendicano diritti universali.

Una minoranza, a rigor di termini,  è un gruppo di persone circoscritto e caratterizzato da elementi comuni quali un territorio, una etnia, una cultura, una nazionalità, una appartenenza linguistica.

Le persone LGBTIQ+ sono invece tutte molto diverse tra di loro anche dal punto di vista di una minoranza: non sono circoscritte allo stesso territorio, non appartengono a una stessa etnia, o cultura, o nazionalità, non parlano la stessa lingua così come hanno diversa estrazione sociale, collocazione politica (ci sono persone omosessuali tanto nel centrodestra quanto nel centrosinistra).

Contrariamente a qualsiasi minoranza, devono affrontare quasi sempre un percorso di coming-out in famiglia.  L’unico significato plausibile del termine “minoranza” in relazione alle persone LGBTIQ+è quello che indica la percezione di essere minoranza, non in senso numerico ma in senso culturale e sociale.

Per  questo è meglio evitare l’espressione diritti gay, anche se, per brevità, è di uso comune spesso nella stessa militanza. Locuzioni tipo i diritti delle minoranze sessuali, spesso annoverata in elenchi che includono le minoranze etniche, quelle religiose, linguistiche ecc., vanno sostituite con i diritti umani negati alle persone omosessuali.

Gli stessi diritti, umani, non gay.

Anche numericamente è difficile stabilire il numero di persone LGBTIQ+. Secondo il sondaggio IPSOS del giugno 2023, il 9% della popolazione a livello internazionale si identifica come LGBT+.  Uno studio del Pew Research Center del giugno 2022, afferma che l’1,6 della popolazione statunitense si identifica come transgender o non binaria: il dato sale intorno al 5,1% se parliamo della fascia 18-29 anni. 

Bisogna considerare che questi studi non possono tener conto delle persone che, per i motivi i più diversi, preferiscono non dirlo. Inoltre, se consideriamo il termine transgender come ombrello anche per le identità non binarie, il numero potrebbe essere molto più alto.

Va poi considerato che le persone non si collocano in uno dei tre orientamenti sessuali (c’è anche la bisessualità) in maniera statisticamente uguale.
Come hanno rilevato Alfred Kinsey negli anni 50 e William Masters e Virginia Johnson negli anni 60′ e 70′, le persone, pur avendo un orientamento sessuale definito, possono comunque fare, nel corso della loro vita,  esperienze sessuali e relazionali al di fuori dell’orientamento sessuale che le descrive.

La proporzione statistica dunque può variare sensibilmente.

Il concetto di minority stress fa riferimento ad una condizione di minoranza percepita dall’individuo, non a un calcolo statistico su una effettiva percentuale di popolazione.

In ogni caso, la questione numerica e la relativa idea di minoranza diventa irrilevante di fronte al fatto che le persone LGBTIQ+ non rivendicano diritti specifici, ma esattamente gli stessi diritti delle persone eterosessuali, che sono loro disattesi per il pregiudizio omobilesbotransfobico.

Non si tratta di diritti speciali basati su particolari esigenze delle persone omosessuali ma degli stessi diritti di tutte le altre persone: diritto alla visibilità, alla costituzione di una famiglia, agli affetti, alla genitorialità, alla salute sessuale, che vengono loro negati in base all’orientamento sessuale e all’identità di genere.

       

3) Le persone transgender e non binarie

Alcuni suggerimenti

       
       

La parola trans, abbreviazione tanto di transgender quanto di transessuale (parola a ormai desueta) va sempre usata come aggettivo e non come sostantivo: una persona trans, non un trans o una trans.
Ricordiamo con insistenza che il genere grammaticale va accordato con il genere di elezione della persona, non con quello assegnato alla nascita, a prescindere dal percorso di affermazione di genere.

Una donna trans è una persona  che si identifica nel genere femminile, mentre un uomo trans  è una persona che si identifica nel genere maschile.

Chi riferendosi a una donna trans, scrive un trans, al maschile, sottolinea il genere attribuito alla nascita, compiendo una grave discriminazione, perché identifica quella persona con il genere di origine nonostante quella persona stia facendo di tutto per essere considerata appartenere al genere elettivo.

L’espressione “affermazione di genere” viene oggi preferita a “transizione” perché indica in modo più inclusivo tutti gli aspetti  del percorso legati all’autodeterminazione della persona e alla socializzazione del genere, a prescindere da eventuali terapie farmacologiche e da interventi chirurgici.  Affermazione di genere propone una narrazione meno binaria del termine transitare (che implica un punto di partenza e uno di arrivo).
“Transizione di genere” si riferisce agli aspetti medici e farmacologici del processo, che non riguardano tutte le persone transgender.

Il termine transgender viene spesso usato come termine ombrello per includere anche le persone “non binarie

(non binary), che non si riconoscono cioè nel binarismo uomo-donna.

Un altro termine utilizzato dalle persone non binarie, da alcune persone transgender (in particolare non medicalizzate) e dalle persone in adolescenza con varianza di genere  è  “genderfluid”.

Varianza di genere” è un’altra espressione ombrello che si riferisce a tutte quelle persone la cui identità di genere o espressione di genere non corrisponde a ciò che viene ritenuto solitamente conforme alle aspettative sociale legate al genere assegnato alla nascita (maschile o femminile).

Di uso molto comune è anche la parola “fluidità”, che si riferisce alle identità di genere non binarie. Questo termine viene erroneamente utilizzato per descrivere i comportamenti sessuali che non si conformano al binarismo eterosessuale (che pretende che se sei uomo ti possono  piacere solamente le donne e se sei donna solamente gli uomini).

Carriera alias 

La “Carriera Alias” è una prassi amministrativa che permette di riconoscere l’identità di genere di una persona transgender prima della rettifica ufficiale dei dati anagrafici, che ad oggi  prevede procedure giudiziarie molto lunghe.

Permette alla persona interessata di ottenere un documento provvisorio (tessera, libretto etc..) e di socializzarsi con il nome che corrisponde al genere di appartenenza percepito. Questo documento ha valore solo per i servizi che dipendono dall’ente che lo rilascia e non sostituisce il documento anagrafico, che rimane l’unico ad avere valore legale. La socializzazione con il genere percepito è per le persone transgender una questione di benessere psicofisico e integrazione sociale di base. Questo protocollo è stato adottato in Italia da scuole, università, enti locali e organizzazioni sportive, in particolare, 244 scuole secondarie e 32 atenei (Agosto 2023), alcuni comuni tra cui Bologna e Milano, l’ente di promozione sportiva UISP.

La Carriera Alias va distinta dall’attivazione dell’”Identità Alias” prevista nei contratti della Pubblica Amministrazione e, dal luglio 2023, anche dal comparto Istruzione e Ricerca. In questo caso, è richiesta documentazione medica e giudiziaria per comprovare un processo di transizione in corso. Come specifica la nota del ministero del 17 luglio 2023, il cambio del nome è riservato a “coloro che abbiano già iniziato il percorso di transizione di genere, il che presuppone preventivi passaggi giudiziari e sanitari”. Il protocollo della Carriera Alias adottato invece da scuole, atenei ed enti locali, invece, presuppone che nessuna certificazione medica e psicologica venga richiesta.

Anche l’OMS, nel 2018, ha infatti certificato che l’incongruenza di genere non è una malattia mentale ma una condizione associata alla salute sessuale, cioè al benessere dell’individuo.

Deadnaming

Quando si parla delle persone transgender e non binarie è bene ricordare di usare sempre il nome di elezione e non quello assegnato alla nascita. Nel caso di personaggi noti, e solo quando ci si riferisce a fatti avvenuti in passato legati al nome d’origine, ci sono due soluzioni. Si può fare riferimento a fonti già esistenti, inserendo un link ed evitando di utilizzare direttamente il nome assegnato alla nascita, oppure si può dire “alla nascita con il nome…”. Di Elliot Page diremo che è un attore, assegnato alla nascita con il nome di Ellen famoso per il ruolo nel film Juno. È fondamentale evitare espressioni del tipo “quando era donna”.

Anche per la parola intersex vale la raccomandazione che abbiamo fatto per le altre lettere dell’acronimo: meglio usarla come aggettivo una persona intersex.
Da evitare locuzioni come ambiguità genitale, o sessuale, o il termine ermafrodita. Nessun essere umano è ermafrodita, nessuna persona intersex è dotata cioè di due organi riproduttivi entrambi fertili.

Usiamo l’espressione inglese intersex per non affrontare il nodo ancora irrisolto nella lingua italiana se usare l’espressione persona intersessuale (rendendola una caratteristica identitaria) o persona intersessuata (rendendola una delle sue caratteristiche fisiche).

La principale rivendicazione delle persone intersessuali è quella di non subire interventi chirurgici alla nascita e di poter decidere successivamente del proprio corpo e della propria identità. Meglio concentrarsi su questo.

Depatologizzazione delle persone transgender 

Nell’ICD (International Classification of diseases) 11 dell’OMS, approvato nel 2018 ed entrato in vigore nel 2022, la disforia di genere non è più catalogata come malattia mentale. È stato sostituito da un nuovo concetto, al di fuori delle malattie mentali,  incongruenza di genere, afferente alla sfera della salute sessuale.
Ha anche cancellato il concetto di orientamento sessuale egodistonico.
L’Italia deve ancora adeguare i protocolli sanitari a questa nuova classificazione che è uno standard internazionale.

       

4) Le parole della Cronaca

Alcuni suggerimenti

       
       

Nel riferirsi alle persone LGBTIQ+ è fondamentale evitare locuzioni quali ambienti gay, ambienti trans, o ancora amicizie particolari, giri, frequentazioni. Queste espressioni vanno definitivamente archiviate perché discriminatorie.
Evitare anche le espressioni omicidio gay, omicidio trans, etc. perché caratterizzano negativamente la totalità delle persone LGBTIQ+, e perché l’omicidio non ha orientamento sessuale. A essere gay sono la vittima dell’omicidio o l’omicida.

Lo stesso vale per le espressioni ambienti gay, aggressione a sfondo omosessuale che contengono un commento implicito e giudicante sul comportamento delle persone omosessuali. D’altronde un’aggressione tra persone etero non verrebbe mai presentata come aggressione a sfondo etero. Dunque…

Bisogna prestare attenzione anche all’uso delle virgolette (“papà” o “mamme” gay) che possono sminuire o screditare queste figure tra le persone LGBTIQ+ e minarne le credibilità.

Bisogna evitare espressioni come condizione omosessuale che richiamano un significato clinico privo di ormai di significato dal 1990.

Un’altra espressione da evitare è lobby gay

A differenza della lingua inglese da cui proviene, in italiano lobby ha un significato negativo. Va evitata perché non si tratta di interessi di parte perorati da un una comunità omogenea che cura i propri interessi a discapito di quelli altrui ma di un gruppo eterogeneo di persone che viene discriminato per l’orientamento sessuale e l’identità di genere. L’allargamento delle categorie di persone che beneficiano dei diritti umani è una conquista democratica per tutta la popolazione non la conquista di una minoranza che toglie qualcosa alla maggioranza.

Quando si può parlare di comunità LGBTIQ+?

Dipende dai contesti.

È possibile parlare di comunità LGBTIQ+ quando ci si riferisce all’insieme delle associazioni per i diritti civili, ai e alle militanti che ne fanno parte o alle persone che frequentano i luoghi di ritrovo.

È bene ricordare, però, che queste persone non costituiscono la totalità delle persone LGBTIQ+.  Ci sono molte persone LGBTIQ+ che non militano e ce ne sono altrettante che non frequentano i locali di ritrovo, né i Pride.

Anche queste persone LGBTIQ+ subiscono discriminazioni in base alla propria identità di genere e al proprio orientamento sessuale non solamente quelle della comunità. 
Infine, come è già  stato  detto,  queste discriminazioni possono colpire anche le persone non LGBTIQ che non si conformano agli  stereotipi di genere.

Quando ci si vuole riferire alla totalità delle persone omosessuali, bisessuali e trans è più corretto parlare di “persone LGBTIQ+”, “realtà LGBTIQ+” o “collettività LGBTIQ+”.

Vanno evitate espressioni ambigue come “mondo gay” perché questa locuzione insinua che le persone omosessuali vivano tutte allo stesso modo e tutte in un mondo altro, separato da quello nel quale vive  il resto delle persone. Invece le persone LGBTIQ+ sono ovunque e dappertutto.

Locali gay?

Meglio parlare di locali gayfriendly che di locali gay.

Intanto perché i locali non hanno un orientamento sessuale.

Quello lo hanno le persone che li frequentano.

E non tutte le persone che frequentano i locali gayfriendly sono omosessuali.
L’accesso a questi locali non è riservato esclusivamente alle persone omosessuali.

Le persone frequentano i locali gayfriendly perché solamente in questi locali sono libere di poter corteggiare una persona dello stesso sesso senza ricevere una reazione omofoba.

Finché l’omosessualità non verrà percepita come opzione di default tanto quanto l’eterosessualità, i luoghi gayfriendly sono l’unico mezzo di socializzazione e integrazione sicuro e protetto per le tutte le persone che li frequentano.

Anche nei circoli ricreativi quali le saune o i cruising bar (bar dove si rimorchia), che sono circoli privati e non dei locali aperti al pubblico, al momento dell’iscrizione al circolo si considererà il genere della persona, non il suo orientamento sessuale.

Quando ci si riferisce ai posti di incontro all’aperto evitare di chiamarli ritrovi gay intanto perché non li frequentano tutti gli uomini gay e poi perché, come abbiamo già avuto modo di ricordare, non tutti gli uomini che fanno sesso con uomini sono necessariamente omosessuali. Possono essere bisex o etero “curiosi”.

Può sembrare quantomeno strano che gli uomini per conoscere altri uomini coi quali fare sesso si incontrino in dei luoghi all’aperto, nascosti e isolati. Questo comportamento ha precise ragioni storiche e psicologiche.

Fino agli anni 90’ l’omosessualità era reato nella quasi la totalità dei Paesi europei anche tra adulti consenzienti. Se si faceva sesso tra uomini in un appartamento la polizia poteva intervenire, cogliere i convenuti sul fatto, arrestarti e condurti in carcere.

Non temiamo di ripeterci nel ricordare che ci sono ancora 69 paesi nei quali l’omosessualità è punita per legge, in 5 dei quali con la piena di morte.

I luoghi di incontro detti anche luoghi di battuage, nascosti e poco frequentati, offrivano riparo dai controlli della polizia e anhe dal pubblico ludibrio.

Cercare sesso nei luoghi di battuage ha il vantaggio di non sottoporre a chi cerca compagnia all giudizio morale: magari puoi non essere considerato fisicamente attraente ma nessuno disapproverà quel che sei o quel che fai.

Non deve sorprendere il termine battuage in riferimento al corteggiamento tra uomini. Tra persone omosessuali battere non significa prostituirsi ma cercare qualcuno con cui  fare l’amore, qualcuno che ci sta, senza alcuno scambio di denaro.

       

5) Lingua e sessismo

Alcuni suggerimenti

       
       

Quello che non si nomina non esiste. Alma Sabatini nel suo “Il sessismo nella lingua Italiana” (1987), suggeriva un elenco di espressioni da evitare per arrivare a nominare sempre le donne, in ogni occasione. Oggi alle istanze di Sabatini (e delle studiose che le sono succedute, da Cecilia Robustelli a Giuliana Giusti) si sono aggiunte le istanze di inclusione delle persone non binarie, che non si riconoscono in nessuno dei due generi grammaticali della lingua italiana.

Per superare il sessismo della lingua, occorre quindi riflettere su due linee d’azione.

  • Usare i nomi d’agente e di professione al femminile ogni volta che ci si riferisce alle donne. Evitare l’uso del maschile inclusivo (o sovraesteso, o non marcato) declinando i pronomi al maschile e al femminile, oppure usando forme ambigenere.
    Non dire cioè Buongiorno a tutti ma, buongiorno a tutti e tutte, oppure, buongiorno a tutte le persone. Non sempre ci si può sottrarre al maschile inclusivo. L’importante è cercare di evitare che il suo uso diventi un’abitudine.
  • Evitare i riferimenti al genere.
    Buongiorno a tutte le persone usa un sostantivo di genere promiscuo Persona, che è di genere grammaticale femminnile, ma si riferisce tanto agli uomini quanto alle donne (come individuo, che è maschile).
    Esistono inoltre segni particolari per evitare di esprimere il genere, come l’asterisco “*” e lo schwa (in italiano Scevà)  “ə”, al plurale “3” (vedi oltre) che non sempre sono agevoli.
    Per sottrarsi alle indicazioni di genere possiamo comunque modificare il punto di vista dei nostri discorsi. (vedi Leggi di più)
    Così, invece di chiedere ti sei divertito? Ti sei divertita?, oppure ti sei divertitə  possiamo chiedere è stato divertente? Lo stesso per gli aggettivi. Invece di dire quel vestito ti fa bella, ti fa bello o ti fa bellə possiamo dire quel vestito esalta la tua bellezza. 

Alma Sabatini, nel suo “Il sessismo nella lingua Italiana” (1987), un report su una ricerca sul linguaggio adottato dai media,  faceva notare l’uso del maschile inclusivo o non marcato.

Si tratta dell’impiego del genere grammaticale maschile come un “neutro” (che in italiano non esiste) che sottintende anche il genere grammaticale femminile.

Dal saluto “buongiorno a tutti” (che sottintende tutte), ai nomi di professione e d’agente sempre declinati esclusivamente al maschile.In italiano  se chiedo di vedere un dottore mi riferisco sia a un uomo che a una donna, mentre se chiedo di vedere una dottoressa questa parola non vale anche per gli uomini.

Questa asimmetria nell’uso del genere grammaticale indusse Sabatini a definire la lingua italiana come Androcentrica,  incentrata cioè sugli uomini, considerati un costrutto universale e valido per tutte le cose, mentre quello feminile è legato solo a una eccezione, che va sempre circostanziata. Anche nell’uso del lessico prevale questo androcentrismo, come nelle espressioni  l’uomo per intendere il genere umano, etc.

Nel declinare i nomi di professione e agentivi al femminile è importante non fare confusione con i sostantivi  di genere promiscuo, la guardia, la vedetta, la persona, la maschera, che si riferiscono tanto agli uomini quanto alle donne e con i sostantivi di genere comune, o epiceni, per i quali la desinenza non cambia e il genere grammaticale è determinato dall’articolo  (il pediatra, la pediatra,  il vigile, la vigile, il giornalista, la giornalista, ma, attenzione, al plurale ci sono giornalisti e giornaliste).

Attenzione ai nomi agentivi in -tore e -sore. I primi al femminile escono in -trice (scrittore, scrittrice). Quelli in -sore al femminile escono in -itrice. Così evasore al femminile fa evaditrice (prendendo la radice dall’infinito evadere). La Crusca ammette nel linguaggio parlato le forme popolari in a, evasora, pastora, gestora, da usare con molta cautela (le forme regolari sono pastrice e gestrice).

Sabatini considera epicene anche le parole “studente” (lo studente, la studente) e “poeta” (il poeta, la poeta).

Da evitare, seguendo Sabatini, le forme femminili con il suffisso derivativo  “essa”. Intanto perché ha in sé una connotazione negativa (di sminuizione, di presa in giro, come nell’espressione la generalessa) e poi perchè non c’è bisogno di usarlo visto che esistono le forme regolari del femminile, avvocata (invece di avvocatessa) la vigile, invece di vigilessa, la soldata invece di soldatessa. Con questo suffisso si sono formate le parole professoressa, studentessa, profetessa, dottoressa, le uniche ancora d’uso corrente. Ma, anche in questi casi, perché un suffisso speciale solo per le donne?

Dottora e  medica sono parole corrette tanto quanto avvocata. Fa eccezione “professora” che è mutuata a calco dagli altri femminili. Nessuno si scandalizza se usate professoressa, lo stesso dovrebbe valere se usate professora, che non è scorretta.

Oltre il genere 

Per evitare i riferimenti al genere nel linguaggio sono state approntate anche altre  soluzioni non sempre di piena efficacia. È sconsigliabile utilizzare l’asterisco (tutt*), perchè a questo simbolo non corrisponde un fonema e dunque non è pronunciabile. Da qualche anno si usa il segno “ə” (schwa, plurale “3”), mutuato dall’alfabeto fonetico internazionale con il quale sostituire le desinenze grammaticali del maschile e del femminile,  la cui pronuncia ricorda la e chiusa del napoletano  (napule) oppure alcune parole inglesi (sister).

Lo schwa  (ma è meglio utilizzare la forma italianizzata scevà) può essere usato con moderazione in espressioni come più diritti per Tutt3 ma non è di aiuto con altri sostantivi. Quale articolo determinativo usare con Giornalistə visto che le forme maschili e femminili hanno  una diversa radice ? Si rischia di usare un maschile inclusivo camuffato che appesantisce inutilmente la lingua.

Spesso l’uso dello schwa come quello dell’asterisco, quando non agevolmente applicabile, fa tornare inconsapevolmente all’abitudine del maschile inclusivo, perché il genere grammaticale è insidioso e si trova in molte più parole di quanto non si pensi.

Può essere utilizzato occasionalmente senza pretese di completezza, facendo attenzione all’accordanza delle parole nella stessa frase.

Per riferirsi alle persone senza indicare il genere, esistono diversi modi, come l’utilizzo del termine persona o la riformulazione delle frasi in maniera impersonale.

       

6) Lesbica è un aggettivo non un insulto

Alcuni suggerimenti

       
       

Le donne omosessuali italiane che negli anni ’70 hanno militato tra le fila del femminismo, hanno preso la parola lesbica, patriarcale e discriminatoria, e l’hanno trasformata, con intelligente acume politico, in un termine  identitario.

Come per le altre donne, anche le donne lesbiche faticano a vedere riconosciuta la loro specificità nel linguaggio.
In un contesto dove la donna ha poco spazio per l’autodeterminazione, si fatica ad accogliere ed esprimere anche il fatto che le persone omosessuali sono lesbiche e gay.

In italiano infatti gay è usato esclusivamente per gli uomini, a differenza del paese dove questa parla è nata dove è un aggettivo che vale tanto per gli uomini quanto per le donne.

Le donne lesbiche non hanno nell’immaginario collettivo uno statuto a sé e hanno trovato spazio quasi esclusivamente nell’immaginario (erotico) del maschio eterosessuale.

Per una società sessista che mette le donne tra parentesi a cominciare dalla lingua, le donne lesbiche sono ancora più nascoste, ignorate, messe tra parentesi

Il pregiudizio omofobico agisce in maniera diversa su uomini e donne, per questo si parla nello specifico di lesbofobia. Questa differenza è legata all’origine maschilista e patriarcale di tutte le forme di omofobia. Lo sport ci offre in tal senso un esempio chiaro: l’omosessualità maschile nel calcio è vista ancora come qualcosa di scandaloso. L’omosessualità femminile è tollerata, ma spesso non rispettata, perché, in fondo si sa, le lesbiche sono dei maschi mancati. In questo senso, la lesbofobia ha un impatto molto rilevante sulle donne eterosessuali che si accingono a fare sport o intraprendono professioni considerate da uomini.

Come per gli altri orientamenti sessuali è sempre meglio usare la parola lesbica come aggettivo e dunque dire una donna lesbica invece di una lesbica.

Attenzione però ad evitare l’impiego dell’aggettivo lesbica, spesso nella sua forma contratta di lesbo, per caratterizzare comportamenti, gesti e categorie universali scrivendo, specialmente negli articoli di costume, società e spettacolo, bacio lesbico, film lesbo, oppure impiegandolo per caratterizzare i titoli di cronaca: Delitto di Ostia: spunta la pista lesbo. 

Stesso discorso vale per il vetusto aggettivo saffico.

Fare entrare la parola lesbica nel linguaggio dei media e nell’uso comune, liberandola da connotazioni discriminatorie o erotizzanti, è un un passo importante verso il pieno riconoscimento dell’omosessualità femminile e dei diritti umani delle donne che amano le donne.

       

7) Tante famiglie

Alcuni suggerimenti

       
       

Alcuni concetti importanti

Stepchild adoption e riconoscimento alla nascita

È l’adozione del figlio del partner, che fa capo alla legge sull’adozione in “casi particolari”. Era una soluzione parziale per i figli e le figlie delle famiglie arcobaleno che fu stralciata dalla legge Cirinnà nel 2016. Dal 2023 se ne  parla come una possibile soluzione, ma in realtà non è adatta a figlie e figli già nati e/o cresciuti all’interno della coppia, perché richiede anni di procedure giudiziarie difficili e costose e presuppone l’idea di adottare una persona che già vive in una famiglia e ha diritto ad avere due genitori legalmente riconosciuti. La soluzione auspicata dalle famiglie arcobaleno è quella del riconoscimento alla nascita, come avviene per le coppie eterosessuali, anche non sposate.

Certificati di nascita 

I certificati di nascita dei figli e delle figlie delle famiglie arcobaleno sono quasi sempre formati all’estero, non essendo consentito in Italia l’accesso alle procedure di PMA per le coppie omosessuali. Alcuni comuni hanno formato in Italia atti di nascita che riconoscono la genitorialità di coppie di donne, ma si tratta al momento di casi isolati.

PMA 

Tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita. Si distinguono tra omologhe (dove i gameti provengono dalla coppia) ed eterologhe (dove almeno un gamete proviene da una persona esterna alla coppia). La fecondazione eterologa in Italia è consentita per le coppie eterosessuali, anche non sposate, dal 2014. Le coppie dello stesso sesso e le persone single, in Italia non hanno diritto di accesso alla PMA.

Gestazione per altri (GPA

La Gestazione per altri, detta anche maternità surrogata, è una forma di procreazione assistita nella quale una donna, che è  già madre, porta avanti una gravidanza per un’altra coppia (i futuri genitori del nascituro o della nascitura). La fecondazione può essere effettuata con spermatozoo (gamete) e ovulo proveniente sia dalla coppia sia da donatori e donatrici esterne ma non da ovulo della madre surrogata. Nel 90% dei casi questa tecnica viene utilizzata da coppie di sesso diverso (uomo-donna) ipossibilitata a procreare a causa della sterilità dell’uomo e o della donna. Evitare sempre  l’espressione “utero in affitto”, che è  un termine giudicante che presume la presenza di sfruttamento in qualsiasi forma di GPA. A seconda delle diverse leggi che la regolamentano, diverse da Paese a Paese, la GPA assume forme differenti.

GPA Solidale (forma di regolamentazione)

In Italia esiste una proposta di legge elaborata dall’Associazione Luca Coscioni (maggio 2023) per regolamentare anche la gestazione per altri detta Gestazione solidale. L’obiettivo è affermare un quadro di tutele chiaro evitando proibizionismi e zone d’ombra. La GPA solidale prevede che la gestante per altre persone sia libera di decidere, in totale autonomia se, come e quando affrontare una gravidanza per altri. È una donna già madre, in età fertile, in pieno possesso delle proprie capacità di intendere e volere, fisicamente idonea ad affrontare una gravidanza ed economicamente indipendente. L’unico costo previsto durante il percorso di gravidanza solidale è il rimborso delle spese affrontate dalla gestante. Nessun prezzo o corrispettivo economico: l’obiettivo è garantire che ogni donna agisca in piena libertà e autonomia, evitando ogni forma di sfruttamento.

GPA reato universale (proposta di legge)

Proposta di legge della maggioranza Parlamentare che sostiene il Governo Meloni (da ottobre 2022). Partendo dal presupposto che la GPA  è già vietata per legge  in Italia, la proposta prevede pene anche per chi la effettua  all’estero. Sono stati avanzati molti dubbi sulla Costituzionalità della proposta di legge, sui suoi aspetti retroattivi, sul fatto che andrebbe di fatto a “criminalizzare” i figli e le figlie già nate con questa pratica e a contribuire alla  stigmatizzazione della omogenitorialità.. Esistono inoltre diverse criticità sulla possibilità concreta di verificare se siano effettivamente nate bambine e bambini all’estero, in particolare per le coppie di sesso diverso, che rappresentano il 90% delle coppie che usufruiscono alla GPA. La proposta si legge è varata già approvata dal Senato ed è in attesa del voto della Camera.

Era il 2009 quando Domenico Riso perdeva la vita col suo compagno Pierrick Charilas e loro figlio Ethan, di tre anni, in un incidente aereo. Secondo la stampa italiana di allora Ethan era figlio di Pierrick e non di entrambi gli uomini mentre Pierrick veniva descritto come l’amico più amato di Domenico e non il suo compagno.
Delle circonlocuzioni con le quali la stampa cercava di raccontare ciò per cui sembra che manchi il lessico: l’unione stabile tra due persone dello stesso sesso.

Nemmeno l’introduzione delle unioni civili (legge 20 maggio 2016, n. 76) ha stemperato la riluttanza della stampa a riconoscere lo status di famiglia anche alle coppie stesso sesso.

Le unioni tra persone dello stesso sesso vengono presentate dalla politica e percepite dall’opinione pubblica come “contro natura”, “sterili”, “infeconde”, ignorando la dimensione relazionale, affettiva e il sostegno reciproco che le caratterizza proprio come per le coppie di sesso diverso.

Per il solo fatto di esistere le unioni tra persone dello stesso sesso sono dipinte come  una minaccia per la “famiglia tradizionale”. Ma quale modello tradizionale?

Il modello tradizionale più diffuso nel tempo è quello della famiglia contadina patriarcale, nella quale sotto lo stesso tetto vivevano diverse generazioni e persone legate da diversi gradi di parentela, sia di sangue che acquisiti.

Se per famiglia tradizionale si intende invece la famiglia nucleare, costituita dall’unione indivisibile tra uomo e donna, con prole biologica, questa tipologia familiare è relativamente recente ed è legata all’industrializzazione del primo Novecento.

Nella storia della Repubblica italiana questa compagine familiare non è più l’unica almeno dal dal 1970, da quando, con l’introduzione del divorzio (legge n. 898, 1970) prima e con la nuova legge sul diritto di famiglia (n. 151 del 1975)  poi è iniziato un processo di legittimazione e riconoscimento giuridico, oltre che sociale, di una compagine variegata e differenziata di famiglie, al plurale.

Dopo la separazione e il divorzio uomini e donne si uniscono in famiglie ricomposte, ricomponendo famiglie di fatto con nuovi compagni e compagne; oppure si risposano in nuove famiglie ricostituite all’interno delle quali è annoverata anche la prole avuta da legami precedenti. Oppure sorgono le famiglie mononucleari dove una madre (vedova, divorziata, separata o single) o, meno frequentemente, un padre, crescono la prole da sole e da soli.

Più recentemente, almeno per l’Italia, si è aggiunta la famiglia mista, dove uno dei due coniugi è cittadina o cittadino straniero e, ancora più recentemente, quella omogenitoriale.

La famiglia tradizionale è dunque un concetto che non ha un riscontro storico, o sociologico.

Meglio dire famiglie, al plurale, e se per tradizione intendiamo qualcosa di consolidato da tempo sono tutte famiglie tradizionali, anche quelle omogenitoriali che esistono in italia da 1 a 5 anni negli altri Paesi almeno da 30.

Sono compagini familiari differenti, per le quali a fare da trait d’union troviamo gli stessi concetti di legame stabile, amore, cura e responsabilità.

Per quanto riguarda le famiglie composte da due uomini o due donne le locuzioni famiglia gay e famiglia omosessuale sono da evitare perché lasciano intendere che siano omosessuali non solamente i genitori (che possono anche essere bisex) ma, soprattutto, che lo sia anche la prole, cosa non vera.

La parola omogenitoriale indica che i genitori sono dello stesso sesso che è la cosa che conta davvero. Non certo il loro orientamento sessuale.

È necessario evitare anche espressioni come bimbo (o bimba) con due madri o con due padri, perché le figure biologiche, in questi casi, non vanno confuse con quelle dei genitori sociali che scelgono di concepire la prole e successivamente la crescono.

Ci saranno quindi bimbi e bimbe con due mamme e con due papà.

Per le coppie che ricorrono alla procreazione assistita tramite Gestazione per altri (GPA), va del tutto evitata l’espressione utero in affitto, che non rispecchia la realtà delle donne che la praticano per libera scelta e pone l’accento invece solamente sulle forme di sfruttamento, un fenomeno da tenere completamente distinto.

Va ricordato che alla GPA, che in Italia è illegale, ricorrono per il 90% coppie di sesso diverso.

Lo stesso vale per la locuzione adozioni gay.

Le adozioni non hanno orientamento sessuale. Casomai ce lo hanno le persone che adottano che però possono anche essere bisex…

Anche nel caso del matrimonio, è preferibile definirlo egualitario poiché parlare di matrimonio gay lascia spazio a chi pensa che le persone LGBTIQ+ vogliano un istituto tutto per loro o, peggio, siano pronte ad invadere le chiese.

Si tratta invece, come è noto, dell’estensione delle norme relative al matrimonio civile anche alle coppie dello stesso sesso.

Il matrimonio infatti non è precluso alle persone in base al loro orientamento sessuale ma alla composizione della coppia: in Italia possono ricorrere all’Istituto del matrimonio civile solamente le coppie di sesso diverso, mentre per le coppie dello stesso sesso è previsto un istituto a parte, le unioni civili. Non ci si sposa dunque tra gay, ma tra uomini o tra donne.

Come abbiamo giù ricordato, senza tema di ripeterci, una coppia omosessuale (cioè dello stesso sesso) non è necessariamente formata da due persone gay o lesbiche: una o entrambe possono essere bisex o anche etero.

       

8) Immagini e suoni

       

Dove non arrivano le parole a volte arrivano le immagini, i suoni, le presenze. Un’immagine, un suono, una persona in uno studio televisivo, possono essere uno stimolo che rimane impresso molto più facilmente.

Quando si parla di persone LGBTIQ+ e di temi SOGIESC, bisogna sempre domandarsi quale è il contesto al quale ci riferiamo. 

Quando si affrontano tematiche LGBTIQ+ in TV si tende ad invitare persone esperte o giornalisti e giornaliste, che non sono gay, lesbiche o transgender, come se, il fatto di non esserlo, garantisse loro una maggiore oggettività rispetto le persone direttamente interessate che sarebbero più propense a fare propaganda,  come se il riconoscimento di diritti universali possa privare le altre persone di qualcosa.

Spesso le associazioni vengono consultate solo per individuare storie e testimonianze, non per offrire direttamente le proprie competenze sugli argomenti o proporre esperti ed esperte del settore.

L’abitudine generale della televisione è quella di dedicarsi a queste tematiche solo di fronte a casi di cronaca drammatici, ponendo l’attenzione più sulla vicenda umana che sulle ragioni socio-culturali del fenomeno.

Inoltre, la giusta logica del pluralismo dei punti di vista viene spesso applicata in modo scorretto alle tematiche LGBTIQ+, con l’istituzione di un contraddittorio aggressivo e quasi sempre poco informato. In TV, nella carta stampata e online, è poi fondamentale la scelta e l’uso delle immagini e dei suoni. Ecco alcuni esempi.

Se si parla del Pride è bene dare risalto a tutte le tipologie di persone presenti, incluse le famiglie omosessuali ed eterosessuali con i passeggini, ad esempio, che sono sempre più numerose, e alla marea di persone sempre più giovani che si riconoscono nei valori della manifestazione prima ancora che nelle varie identità.

Se si parla del Matrimonio egualitario o della legge contro l’omolesbobitransfobia, invece, è bene dare risalto alle manifestazioni di piazza, dando voce ad attiviste e attivisti, e alle cerimonie già realizzate con il rito dell’unione civile, specificando che non è un matrimonio.

Quando parliamo di persone transgender e non binarie, è importante non utilizzare immagini di Drag Queen, perchè si tratta di ambiti differenti.

Essere transgender è un’identità di genere, essere una Drag Queen o un Drag king significa mettere in atto una performance artistico-teatrale che esalta con ironia i caratteri convenzionalmente attribuiti al genere che si vuole portare in scena.

Spesso in televisione quando si parlava delle persone LGBTIQ+, si è abusato di musiche da discoteca e relative immagini, collegando all’idea di divertimento argomenti come il matrimonio egualitario, le aggressioni, le famiglie arcobaleno etc che con il divertimento non hanno nulla a che fare.

D’altronde non verrebbe mai in mente di dire che tutte le persone etero frequentano le discoteche e gli altri luoghi di socializzazione. Sono narrazioni che contengono un pregiudizio, anche inconsapevole, che è meglio evitare.

       

9) Dal Gay Pride al Pride

       

Gay Pride è Il nome storico della manifestazione dell’orgoglio omosessuale, in cui la parola “gay” si riferiva in senso molto ampio al movimento di liberazione sessuale (gay in inglese è un aggettivo che si riferisce tanto agli uomini quanto alle donne).

Pride, il nome attuale della manifestazione, che consigliamo di utilizzare, rappresenta l’orgoglio di tutte le identità LGBTQI+ e delle persone che sostengono la libertà e l’autodeterminazione delle identità.

Il Gay Pride la manifestazione di rivendicazione dell’orgoglio omosessuale, lesbico, bisessuale e trans, nasce per commemorare i moti dello Stonewall Inn, un locale di New York nel quale, la notte tra il 27 e il 28 giugno 1969, la clientela del locale si ribellò contro l’ennesima irruzione della polizia che compiva arresti e perquisizioni con scopo intimidatorio. A ribellarsi a quei soprusi furono in primo luogo le persone trans e quelle travestite, elemento che viene ricordato nei Pride attraverso una esagerazione nel modo di vestire che ha anche lo scopo di épater la bourgeoisie (scandalizzare la borghesia) in opposizione alla morale borghese dell’epoca.

I Pride sono oggi imponenti manifestazioni di massa di carattere internazionale, seconde forse solo alle manifestazioni per i cambiamenti climatici, che presentano uno spaccato ampiamente eterogeneo della popolazione, con una forte partecipazione della popolazione eterosessuale. Al World Pride del 2019, a New York, dove si celebravano i 50 anni dai moti di Stonewall, hanno partecipato oltre 5 milioni di persone da tutto il mondo.

Le persone che partecipano ai Pride celebrano l’orgoglio nei modi più diversi esprimendo liberamente  la propria idea di celebrazione.

Ai Pride ci sono le famiglie arcobaleno con i loro figli e le loro figlie, le coppie che convivono da tanti anni e le nuove generazioni orgogliose del loro corpo, che mostrano spogliandosi o usando abiti con le fogge più fantasiose. che si sentono libere di usare come meglio credono.

I pride sono riusciti a intercettare spesso le proteste e le rivendicazioni di tutta la popolazione, come accadde in Inghilterra nei primi anni ottanta, quando ai Pride parteciparono in massa i minatori e le loro famiglie, vessati dal governo Tatcher, come viene ricordato nel film Pride (UK, 2014) di Matthew Varchus.

Da diversi  anni il Pride ha perso l’aggettivo gay per sottolineare il suo carattere inclusivo di festa dell’orgoglio di tutte le identità.

       

10) Si dice Coming out o Outing?

       

Coming out 

la persona dice o lascia intendere di essere omosessuale, bisessuale, transgender…”

Outing

“La persona rivela che un’altra persona che è omosessuale, bisessuale, transgender…”

Coming Out è la forma abbreviata dell’espressione statunitense Coming out of the closet,  letteralmente “uscire dall’armadio (a muro)”, quindi uscire allo scoperto.

Si riferisce al momento in cui una persona non eterosessuale dichiara il proprio orientamento sessuale pubblicamente, sia in ambito familiare, che in quello delle amicizie o lavorativo (una persona può fare più Coming out prima con gli amici e poi in famiglia o viceversa).

Il coming out può riguardare anche l’identità di genere, nel caso delle persone transgender e non binarie, o le caratteristiche sessuali, nel caso delle persone intersessuali.

C’è chi pensa che fare coming out sia una forma di ostentazione.

Quando una persona omosessuale parla dei suoi affetti non sta ostentando la sua sessualità, proprio come fa una persona etero quando presenta il o la coniuge, o parla del fidanzato o della fidanzata.
L’ostentazione sta nell’occhio di chi guarda, non in chi vuole gridare al mondo il proprio amore.

Finché si darà per scontato che siamo tutte e tutti eterosessuali ci sarà bisogno di fare coming out.

Attenzione però. Il coming out è un diritto non un dovere.
Nessuna persona deve sentirsi in dovere di fare coming out e se non lo fa non deve darne d’onde a chicchessia.

Con il termine outing, invece, ci si riferisce a quando si svela pubblicamente, contro la volontà dell’individuo interessato, il suo orientamento sessuale.

Fatto di per sé discutibile l’outing  è da considerarsi giustificabile come atto politico, quando serve a mostrare l’ipocrisia di un personaggio pubblico chi fa discorsi pubblici omofobi e nel privato ha un comportamento omoerotico.

Coming out e Outing non sono dunque affatto la stessa cosa e non possono essere usati come sinonimi.

       

Regola aurea

       

Infine, una semplice regola aurea che può sempre essere utile a risolvere molti dubbi, cioè chiedersi: come tratteremmo alcune notizie se non stessimo parlando di persone LGBTIQ+?  

Bisogna poi tenere sempre conto che le persone LGBTIQ+ non vivono su un altro pianeta ma fanno senz’altro parte del pubblico di lettori e lettrici, per cui quando si parla di persone LGBTIQ+ evitare di riferirsi a quelle persone là e rivolgersi invece, anche, a voi che ci leggete.

Coming Out è la forma abbreviata dell’espressione statunitense Coming out of the closet,  letteralmente “uscire dall’armadio (a muro)”, quindi uscire allo scoperto.

Si riferisce al momento in cui una persona non eterosessuale dichiara il proprio orientamento sessuale pubblicamente, sia in ambito familiare, che in quello delle amicizie o lavorativo (una persona può fare più Coming out prima con gli amici e poi in famiglia o viceversa).

Il coming out può riguardare anche l’identità di genere, nel caso delle persone transgender o intersessuali.

C’è chi pensa che fare coming out sia una forma di ostentazione.

Quando una persona omosessuale parla dei suoi affetti non sta ostentando la sua sessualità, proprio come fa una persona etero quando presenta il o la coniuge, o parla del fidanzato o della fidanzata.
L’ostentazione sta nell’occhio di chi guarda, non in chi vuole gridare al mondo il proprio amore.

Finché si darà per scontato che siamo tutte e tutti eterosessuali ci sarà bisogno di fare coming out.

Attenzione però. Il coming out è un diritto non un dovere.
Nessuna persona deve sentirsi in dovere di fare coming out e se non lo fa non deve darne d’onde a chicchessia.

Con il termine outing, invece, ci si riferisce a quando si svela pubblicamente, contro la volontà dell’individuo interessato, il suo orientamento sessuale.

Fatto di per sé discutibile l’outing  è da considerarsi giustificabile come atto politico, quando serve a mostrare l’ipocrisia di un personaggio pubblico chi fa discorsi pubblici omofobi e nel privato ha un comportamento omoerotico.

Coming out e Outing non sono dunque affatto la stessa cosa e non possono essere usati come sinonimi.

CONDIVIDI DOVE VUOI