Famiglie arcobaleno

Il termine omogenitorialità è stato lanciato  alla fine degli anni ’90 dall’Associazione francese dei genitori e futuri genitori gay e lesbiche (APGL). È una definizione ombrello che comprende diverse realtà familiari, in cui almeno un genitore ha un orientamento sessuale non eterosessuale. Le famiglie omogenitoriali vengono definite anche famiglie arcobaleno

Era il 2009 quando Domenico Riso perdeva la vita col suo compagno Pierrick Charilas e loro figlio Ethan, di tre anni, in un incidente aereo. Secondo la stampa italiana di allora Ethan era figlio di Pierrick e non di entrambi gli uomini mentre Pierrick veniva descritto come l’amico più amato di Domenico e non il suo compagno. Delle circonlocuzioni con le quali la stampa cercava di raccontare ciò per cui sembra che manchi il lessico: l’unione stabile tra due persone dello stesso sesso. 

Nemmeno l’introduzione delle unioni civili (legge 20 maggio 2016, n. 76) ha stemperato la riluttanza della stampa a riconoscere lo status di famiglia anche alle coppie stesso sesso.

Le unioni tra persone dello stesso sesso vengono presentate dalla politica e percepite dall’opinione pubblica come “contro natura”, “sterili”, “infeconde”, ignorando la dimensione relazionale, affettiva e il sostegno reciproco che le caratterizza proprio come per le coppie di sesso diverso.

Per il solo fatto di esistere le unioni tra persone dello stesso sesso sono dipinte come  una minaccia per la “famiglia tradizionale”. Ma quale modello tradizionale?

Il modello tradizionale più diffuso nel tempo è quello della famiglia contadina patriarcale, nella quale sotto lo stesso tetto vivevano diverse generazioni e persone legate da diversi gradi di parentela, sia di sangue che acquisiti.

Se per famiglia tradizionale si intende invece la famiglia nucleare, costituita dall’unione indivisibile tra uomo e donna, con prole biologica, questa tipologia familiare è relativamente recente ed è legata all’industrializzazione del primo Novecento.

Nella storia della Repubblica italiana questa compagine familiare non è più l’unica almeno dal dal 1970, da quando, con l’introduzione del divorzio (legge n. 898, 1970) prima e con la nuova legge sul diritto di famiglia (n. 151 del 1975)  poi è iniziato un processo di legittimazione e riconoscimento giuridico, oltre che sociale, di una compagine variegata e differenziata di famiglie, al plurale.

Dopo la separazione e il divorzio uomini e donne si uniscono in famiglia ricomposte, ricomponendo famiglie di fatto con nuovi compagni e compagne; oppure si risposano in nuove famiglie ricostituite all’interno delle quali è annoverata anche la prole avuta da legami precedenti. Oppure sorgono le famiglie mononucleari dove una madre (vedova, divorziata, separata o single) o, meno frequentemente, un padre, crescono la prole da sole e da soli.

 

Più recentemente, almeno per l’Italia, si è aggiunta la famiglia mista, dove uno dei due coniugi è cittadina o cittadino straniero e, ancora più recentemente, quella omogenitoriale.

La famiglia tradizionale è dunque un concetto che non ha un riscontro storico, o sociologico.

 

Meglio dire famiglie, al plurale, e se per tradizione intendiamo qualcosa di consolidato da tempo sono tutte famiglie tradizionali, anche quelle omogenitoriali che esistono in italia da 1 a 5 anni negli altri Paesi almeno da 30.

Sono compagini familiari differenti, per le quali a fare da trait d’union troviamo gli stessi concetti di legame stabile, amore, cura e responsabilità.

 

Per quanto riguarda le famiglie composte da due uomini o due donne le locuzioni famiglia gay e famiglia omosessuale sono da evitare perché lasciano intendere che siano omosessuali non solamente i genitori (che possono anche essere bisex) ma, soprattutto, che lo sia anche la prole, cosa non vera.

La parola omogenitoriale indica che i genitori sono dello stesso sesso che è la cosa che conta davvero. Non certo il loro orientamento sessuale.

 

È necessario evitare anche espressioni come bimbo (o bimba) con due madri o con due padri, perché le figure biologiche, in questi casi, non vanno confuse con quelle dei genitori sociali che scelgono di concepire la prole e successivamente la crescono. 

Ci saranno quindi bimbi e bimbe con due mamme e con due papà.

 

Per le coppie che ricorrono alla procreazione assistita tramite gestazione per altri (GPA), va del tutto evitata l’espressione utero in affitto, che non rispecchia la realtà delle donne che la praticano per libera scelta e pone l’accento invece solamente sulle forme di sfruttamento, un fenomeno da tenere completamente distinto.


Va ricordato che alla GPA, che in Italia è illegale, ricorrono per il 90% coppie di sesso diverso.

Lo stesso vale per la locuzione adozioni gay.

Le adozioni non hanno orientamento sessuale. Casomai ce lo hanno le persone che adottano che però possono anche essere bisex…

 

Anche nel caso del matrimonio, è preferibile definirlo egualitario poiché parlare di matrimonio gay lascia spazio a chi pensa che le persone LGBTIQ+ vogliano un istituto tutto per loro o, peggio, siano pronte ad invadere le chiese. 

 

Si tratta invece, come è noto, dell’estensione delle norme relative al matrimonio civile anche alle coppie dello stesso sesso.

 

Il matrimonio infatti non è precluso alle persone in base al loro orientamento sessuale ma alla composizione della coppia: in Italia possono ricorrere all’Istituto del matrimonio civile solamente le coppie di sesso diverso, mentre per le coppie dello stesso sesso è previsto un istituto a parte, le unioni civili.


Non ci si sposa dunque tra gay, ma tra uomini o tra donne.

 

Come abbiamo giù ricordato, senza tema di ripeterci, una coppia omosessuale (cioè dello stesso sesso) non è necessariamente formata da due persone gay o lesbiche: una o entrambe possono essere bisex o anche etero.

 

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