6 Novembre 2023

Tempo di lettura: 4min

Bandiere al contrario: cessate il fuoco in Palestina

Valerio Mezzolani

Il disastro in Palestina e la peste guerrafondaia

Gaza e la Palestina sono l’ultimo capitolo di una guerra ideologica che coinvolge, ora, anche noi.  Lo spiegò bene Adriano Sofri, uomo dalla inattaccabile esperienza in tema di guerra ideologica: quella di Putin fu la “prima dichiarazione di guerra ufficiale all’omosessualità” (Il Foglio, 29 marzo 2022). Diceva allora Sofri che la liberazione omosessuale, in quanto patrimonio di fatto percepito come “occidentale”, rappresenta un potentissimo strumento per il tentativo di Putin di manipolare la politica terzomondista in senso omofobico.

La guerra di Troia passò per guerra di uomini per una donna. Gratta la scorza infame della denazificazione, e ci trovi la prima guerra ufficialmente dichiarata contro l’omosessualità e il suo fantasma, che si aggira per la Russia.

La “denazificazione” di cui parlava l’opinionista è quella assurda pretesa, che tutti ricordiamo, di voler giustificare un’invasione militare e i bombardamenti sui civili spiegandoci che ci sono dei nazisti da stanare. Ovviamente nessuno di buon senso e di pensiero libero credette che fosse quello un motivo dell’invasione. Eppure, riletta oggi, quella dichiarazione di guerra del 24 febbraio 2022 certi tasselli tornano al loro posto: la peste guerrafondaia ha partorito un nuovo bubbone in Medio Oriente. E qui sì che certi epiteti contano.

Tra diritti civili e occupazione

Oggi, in quella terra martoriata e santa conosciuta con il nome di Palestina, contano anche le rivendicazioni fatte all’insegna della bandiera arcobaleno. Ma anche dei triangoli rosa e nero, specifici simboli delle vittime omosessuali dell’Olocausto, o meglio Omocausto come si usa dire in questo caso, assieme con ebrei, rom, sinti, jenisch e testimoni di Geova. I diritti civili riconosciuti da Israele notoriamente sono i più sviluppati del Medio Oriente e da anni Tel Aviv è sulla scena della comunità LGBTQI+ internazionale. Risale al 2014 l’inaugurazione di un monumento alle vittime gay e lesbiche dello sterminio nazista.

Questa indubbia primazia di Israele rispetto agli stati confinanti, in tema di diritti civili è stata però vista da più parti anche sotto la lente critica: nel 2018 attiviste e attivisti LGBTQI+ israeliani hanno bloccato la marcia del Pride di Tel Aviv all’insegna dello slogan “There is no pride in occupation”, in riferimento alla sistematica violazione di diritti umani nei confronti di Gaza e Cisgiordania.

La situazione in Palestina e le proteste delle comunità ebraiche

Le contestazioni alle politiche di rainbow washing sono arrivate negli anni anche da associazioni come Jewish Voice for Peace, tornata alla ribalta in questi giorni per la spettacolare azione di protesta civile alla Grand Central Station di New York in richiesta del cessate il fuoco su Gaza.

L’azione ha visto più di 200 persone arrestate tra cui Indya Moore, donna transgender, modella e attrice nota per il ruolo di Angel Evangelista nella serie Pose. Sui suoi canali social l’artista e attivista ha pubblicato recentemente una riflessione che sembra davvero scuotere tutta la forza tragica del momento storico attuale, per le persone LGBTQI+. In risposta a un commentatore sul tono del “in Palestina saresti stata buttata giù da un palazzo”, Indya ci interroga la coscienza sul fatto che nella Gaza bombardata senza sosta le persone queer e trans esistono e “meritano anch’esse liberazione dal genocidio e dalla pulizia etnica. Io so qual è il mio contratto col mondo e sono impegnata a rispettarlo. Tu sai qual è il tuo?”.

L’arcobaleno non deve mai essere strumento di guerra

I simboli sono potenti ed è pacifico che l’arcobaleno non debba mai essere strumento ideologico di guerra, non per Putin ieri e nemmeno per Netanyahu oggi. Sull’uso sconsiderato del simbolo infame del nazismo, anche, vanno dette due parole. Dopo il vile attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre scorso, il paragone storico con l’Olocausto riappare sconsideratamente un po’ da tutte le parti con effetti che agiranno probabilmente nel lungo periodo. Si può dire sin da ora però che sembra prepararsi la strada a quella che, tecnicamente, può diventare una guerra assoluta. Qualcosa da cui non si torna indietro, qualcosa di molto simile alla disgraziata war on terror di Bush, per capirci. Un’invocazione al disordine mondiale che di certo torna utile a qualche boia impegnato attualmente a bombardare e tenere in ostaggio i civili, verosimilmente dannosa per tutti gli altri.

La Palestina e il giudizio della storia

“La storia giudicherà tutti noi”, ha scritto il segretario generale delle Nazioni Unite António Guterres ripetendo l’appello al cessate il fuoco su Gaza, tragicamente inascoltato. Per provare a mantenere l’umanità e la speranza sarebbe bello rievocare un momento glorioso della storia del pacifismo italiano. Come tante e tanti ricorderanno fu una bandiera arcobaleno, con la scritta PACE espressa nella lingua di Dante, il vessillo della campagna mondiale Pace da tutti i balconi del 2002 contro l’”esportazione di democrazia” in Iraq.

In quella bandiera, com’è noto, le sette bande colorate sono ordinate al contrario rispetto alle sei bande della classica rainbow flag del movimento LGBTQI+. In questo pianeta che sembra ribaltarsi, paradossalmente l’illuminazione profetica arriva da colui che sproloquiò su un “mondo al contrario” (a testa in giù effettivamente la prospettiva è quella). Le bandiere al contrario oggi possono tornare utili per rispettare il nostro “contratto col mondo”.

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