1 Maggio 2024
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Lavoro e persone LGBT+: la discriminazione nella precarietà
Gaynet
Il primo maggio e le persone LGBT+
Questo primo maggio lo dedichiamo a Cloe Bianco e a Jen, persone transgender che hanno subito l’umiliazione e l’esclusione dal mondo del lavoro, e a tutte quelle persone LGBTQIA+ che subiscono la discriminazione oltre alle condizioni di precarietà generale in cui versa la situazione lavorativa del Paese.
la situazione generale del lavoro
L’Italia è il Paese che meno ha adeguato gli stipendi all’inflazione in Europa negli ultimi 30 anni, (INAPP 2023) e dove la cittadinanza continua a perdere potere d’acquisto sui beni fondamentali (- 16% tra 2019 e il 2023).
Il rischio povertà in Italia è decisamente superiore alla media europea: 20,1% in Italia, contro il 16,5% UE (ISTAT 2024, Rapporto BES 2024)
La povertà assoluta è passata invece dal 7,6% del 2019 al 9,8% del 2023.
Non meglio i dati sulla precarietà: la percentuale di persone in part time involontario (10,2% nel 2022), nonostante in calo da quattro anni, è quasi il triplo della media dei 27 paesi dell’Unione (3,6%).
La quota di part time involontario tra le donne è ancora tripla rispetto a quella degli uomini (15,6% contro 5,1%).
Un capitolo a parte meriterebbe la questione delle morti sul lavoro, una delle più gravi assurdità dei nostri tempi.
In questo quadro di difficoltà generale, si inseriscono le discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere, che colpiscono in misura maggiore chi è già in una posizione svantaggiata.
Le persone LGBT+ nei luoghi di lavoro
Cloe Bianco è stata esclusa e messa ai margini dell’Istituto in cui insegnava per il fatto di essere una donna trans. Una storia che l’ha portata al suicidio. Jen, poche settimane fa, è stata licenziata dalla sua fabbrica non appena ha comunicato il percorso di affermazione di genere. Adesso vorrebbe solo ritornare al suo lavoro di tecnica impiantista civile termo-idraulica, mi si trova disoccupata e con una causa in corso nei confronti dell’azienda.
Secondo l’Indagine ISTAT-UNAR condotta nel 2020-2021, su oltre 20mila persone, occupate e disoccupate, il 26% ha dichiarato che il proprio orientamento sessuale ha rappresentato uno svantaggio nel corso della propria vita lavorativa. Le risposte riguardavano almeno uno dei tre ambiti considerati, ovvero carriera e crescita professionale, riconoscimento e apprezzamento, reddito e retribuzione.
Nella successiva indagine ISTAT-UNAR del 2022, condotta su un campione di 1200 persone, Il 61,2% ha rivelato di nascondere il proprio orientamento sessuale sui luoghi di lavoro. Tra chi fa coming out, invece, il 41,4% ha rivelato che il proprio orientamento sessuale è stato uno svantaggio negli avanzamenti di carriera e nel riconoscimento delle proprie capacità.
Le normative su persone LGBT+ e lavoro
Fin dall’inizio degli anni 2000, sia nel diritto dell’Unione Europea (Direttiva 2000/78/CE), così come in quello italiano (D.lgs. 216/2003), è vietata qualsiasi forma di discriminazione in materia di occupazione e di condizioni di lavoro fondata, tra le altre cose, sul genere e sull’orientamento sessuale.
La norma è molto lontana ancora oggi dall’essere effettivamente rispettata e non è stata aggiornata con l’inclusione dell’identità di genere.